Video
Questa sezione presenta video di storia della fotografia che ho ideato per divulgare temi di storia della fotografia.
L’elefante indiano Fritz
L’elefante indiano Fritz
Anonimo[Faustino Curlo], L’elefante di Torino che poi morì pazzo, 1850, Dagherrotipo, Collezione Simeom, Archivio Storico della Città di Torino.
Video – descrizione di uno dei dagherrotipi italiani a soggetto animale tra i più antichi che ritrae l’elefante Fritz nella menageria reale di Stupinigi, protagonista di numerose stampe e di racconti popolari.
«L’ELEFANTE INDIANO FRITZ NELLA MENAGERIA DI STUPlNlGl» O «L’ELEFANTE DI TORINO CHE POI MORI’ PAZZO» OVVERO ESOTISMO E FOTOGRAFIA ITALIANA DI META’ OTTOCENTO
Uno straordinario esempio di dagherrotipia italiana è custodito tra i materiali della collezione Simeom. Si tratta di un dagherrotipo montato all’europea in passe-partout ovale di carta con filettatura nera, di eccezionale finitezza artistica, privo di macchie o tracce della pulitura meccanica, che ritrae la sagoma di un pachiderma tra due custodi in livrea, sullo sfondo del cortile della palazzina di caccia di Stupinigi sede, dal 1826, del serraglio reale.
Ill. 1 Anonimo [Faustino Curlo] L’elefante di Torino che poi morì pazzo, 1850, dagherrotipo, 1850, Archivio Storico della Città di Torino
e fu eseguito intorno a metà dell’Ottocento da un fotografo anonimo, con tutta probabilità il marchese Faustino Curlo, il cui nome appare anche nell’iscrizione a inchiostro scuro sul bordo inferiore dell’immagine.
La particolarità di questa immagine fotografica, tra le poche a soggetto animale rinvenute in Italia1, appare in tutta la sua evidenza se confrontata con le rappresentazioni convenzionali di animali diffuse a inizio Ottocento, ad esempio le incisioni, Ill 2,3,4
Ill.2 Pietro Monticone, Felice Festa, Il Tamarino, 1819, Litografia,ASCT
Ill.3 Pietro Monticone, Felice Festa, La Giraffa, 1819, Litografia,ASCT
Ill.4 Anonimo, Il Rinoceronte, Litografia, s.d., ASCT
solitamente complete di annotazioni, dati e descrizioni del tutto simili a tavole di libri di scienze naturali, oppure con dipinti di animali quali Testa di leone che ruggisce, l’acquerello di Delacroix
Ill 5 Eugène Delacroix, Testa di un leone che ruggisce, 1864 c., acquerello, tempera su carta
Musée du Louvre, Parigi
che riprende l’animale nell’atto di spalancare le fauci e scatenarsi con una forza incontenibile, simbolo del turbolento spirito del romanticismo ottocentesco.
Il dagherrotipo dell’elefante Fritz appartiene all’epoca della fotografia “primitiva“, risale cioè agli albori di quest’arte quando i fotografi, per la maggior parte ex-ritrattisti, si cimentano nella ripresa di soggetti “notevoli” e sorprendenti, in grado di competere con motivi dipinti. Un esempio d’immagine di questo tipo a soggetto animale è Mucca, Ill 6,
Ill.6 Anonimo, Mucca, 1853, carta salata , in Blanquart Evrard,Etudes photographiques,
Collezione privata
un’immagine incerta, uno studio di tonalità, uno schizzo fotografico.
Altri esempi di fotografie di animali della seconda metà dell’Ottocento sono le immagini di fiere presenti allo zoo di Torino, ben lontane dalla loro originaria potenza e fierezza. Ill. 7
Ill.7 Giuseppe Ambrosetti, Leone, 1869 c. stampa all’albumina , Biblioteca Reale, Torino
Il dagherrotipo dell’Archivio Storico della Città di Torino è uno splendido esempio di fotografia italiana delle origini e, insieme, l’insolito omaggio all’esemplare più popolare del serraglio del Re.
Molto amato dal sovrano e dai sudditi, Fritz diventa famoso per una serie di vicende e racconti di cui è protagonista, che culminano poi in un dramma della follia già preannunciato nel sottotitolo del ritratto.
L’incombere di una catastrofe sul povero Fritz è iscritta in quegli sbaffi intorno alla coda Ill.8
Ill.8 Anonimo [Faustino Curlo] L’elefante di Torino che poi morì pazzo, dagherrotipo Archivio Storico della Città di Torino
e alla proboscide che minacciano la leggibilità dell’immagine, indizio dell’insofferenza dell’animale trattenuto nella posa dai suoi custodi, uno dei quali, con gesto innaturale, tenta di blandirlo tendendogli del cibo.
La possente silhouette arcuata dell’elefante Fritz appare quasi come l’effige incisa sulla piastra di un libro antico che racchiude la storia del pachiderma: è il sigillo che annuncia e tutela l’apologo dell’elefante indiano.
IL RACCONTO DELL’ELEFANTE INDIANO PERVENUTO A STUPINIGI NEL 1827
Fritz non è il primo elefante indiano a dimorare in Piemonte. Già nel Settecento un elefante di proprietà di due cavalieri veniva portato in parata alle feste cittadine torinesi. Ill 9
Ill.9 Ignazio Sclopis, Passeggio della cittadella con l’elefante venuto da Torino l’anno 1774,
incisione ASCT
L’elefante di Stupinigi è però senza dubbio il più raffigurato, descritto e raccontato tra gli animali esotici pervenuti nella capitale sabauda, e diventa ben presto l’esemplare più curioso della menageria reale. Per venticinque anni l’elefante viene esibito come spettacolo temporaneo e circoscritto a un pubblico limitato di ammiratori che accorre da Torino e dintorni.
Fritz è un esemplare di elefante indiano maschio (elephas maximus) di circa 27 anni, Ill.10
Ill.10 Sofia Giordano Clerc, Elefante indiano maschio di 27 anni, 1827, litografia di Felice Festa, ASCT
inviato dal vicerè dell’Egitto Mohammed Aly a re Carlo Felice in cambio di cento pecore merinos. Lo scambio è reso possibile grazie alla mediazione di Bernardino Drovetti (1776-1852), Console Generale di Francia in Egitto. Ill 11
Ill 11 Anonimo, Bernardino Drovetti, s.d., incisione, ASCT
Ancor prima di arrivare al serraglio di Stupinigi, l’elefante fa parlare di sé. Infatti, appena saputo dell’invio dell’elefante, re Carlo Felice diede disposizioni di riadattare le scuderie e trasformarle in ricovero dell’animale, facendo costruire anche un passaggio transennato e una vasca per il bagno del pachiderma.
Imbarcato ad Alessandria d’Egitto il 26 ottobre 1826 insieme a due custodi egiziani, Fritz arriva alla menageria di Stupingi nel giugno del 1827, quando i lavori per il suo ricovero sono appena ultimati. Al suo arrivo a Genova, infatti, si preferisce attendere l’estate prima di trasportarlo a Stupinigi. Della sua custodia sono incaricati Stefano Novarino e Casimiro Carena. Al capo custode della menageria, Casimiro Roddi è affidata la gestione della straordinaria somma di 7648.55 [sic], stanziata per far fronte al fabbisogno dell’elefante, puntualmente documentato dallo stesso Roddi.2
Nel frattempo, l’allora direttore del Reale Museo di Zoologia dell’Università di Torino, Bonelli, prescrive per la dieta del pachiderma: [“50 pani al giorno di 3 libbre genovesi caduno equivalenti a poco più di rubbi piemontesi 5; 24 cavoli lombardi, o altro equivalente vegetabile, o invece 4 libbre di bùttiro con 16 di riso cotto, zuccaro nell’acqua libbre 5, vino pinte una due al giorno, tabacco da fumare, e fumo di persona fumante”.]3
L’ELEFANTE INDIANO CHE ARRIVA DALL’EGITTO: L’ORIENTALIZZAZIONE DI FRITZ
Durante venticinque anni di permanenza nel serraglio reale, le «mostre» periodiche dell’elefante Fritz ispirano racconti e aneddoti che infiammano la fantasia di una folta schiera di ammiratori, da Torino e dintorni, tra cui i sovrani stessi. Le vicende che riguardano l’elefante di Stupinigi corrono di bocca in bocca alimentando una vera e propria mitologia sull’animale, ben presto noto in Piemonte come un personaggio di una favola di Perrault in chiave esotica.Ill.12
Ill.12 Enrico Gonin, Reale Castello di Stupinigi, 1836, litografia di Demetrio Festa, ASCT
Fritz è popolare anche perché assomma in sé il fascino dell’lndia e i misteri dell’Egitto da dove proviene e verso cui si rivolgono gli interessi e le mire espansionistiche degli imperi europei. L’elefante, rappresenta, l’Oriente a Torino, assomma in sé una serie di fantasie e proiezioni proprie dell’eurocentrismo e dell’orientalismo.
Fritz è l’Oriente alla corte sabauda, la quintessenza di un altrove a est dell’Occidente Ill.13
Ill.13 Francis Frith, Piramidi di Dashhoor viste da Est, 1857 stampa all’albumina, J.Paul Getty Museum , Malibu
dove, da fine Settecento, le grandi potenze europee si vanno accaparrando domini e colonie e, attraverso campagne e scavi archeologici, reperti per i musei occidentali. Ill.14
Ill.14 Anonimous, Gruppo di statue funerarie per il culto di Osiride, prese dal Seapeaum di Apis a Memphis-Saqqara, 1890c, fotoincisione, Centre Canadian Architecture, Montreal
Come sottolinea lo storico Edward Said, a partire dalla fine del Settecento, l’Oriente rappresenta per Francia e Inghilterra un mondo da scoprire geograficamente ma anche da modificare culturalmente e politicamente.
Come accade a quelle terre lontane sin dall’Ottocento, anche l’elefante indiano è soggetto a una lenta colonizzazione tenace e inesorabile che avviene attraverso “mostre”, rappresentazioni pittoriche, annotazioni, studi e resoconti che hanno tutte come soggetto l’esotico Fritz e la sua esistenza.
Esposto per anni come mostra vivente dell’esotico per cortigiani e sudditi, l’elefante è sistematicamente osservato e descritto nei resoconti del capoguardiano del serraglio.
Dapprima notato per la sua indole mite [«si compiace al suono della musica, al suono del corno ed al canto del suo custode, fa diverse gesta, cioè si inginocchia, s’assiede, si corica, ruggisce di voce alta e piena che par di tuono».]4
Lentamente diventa oggetto di un voyeurismo a malapena dissimulato dall’intento scientifico di queste annotazioni
[ “va sovente in erezione.Il suo membro prende allora la direzione ordinaria sul davanti e una lunghezza di circa 16 once e più”]
L’elefante Fritz è un animale sano e vitale, sa divertire e dar spettacolo, seguire la musica e ballare: una vera soubrette del serraglio. Il re si compiace di essere puntualmente informato delle vicende e degli aneddoti che lo riguardano. Tra essi, il più noto è quello del dente.
Pare che un giorno di marzo del 1832, l’elefante abbia indicato al custode, fra la paglia della sua lettiera, il dente che lui stesso si era rotto e cavato, mostrandogli perfino il vuoto che aveva lasciato tra i denti.5 Re Carlo Alberto, a cui fu subito donato il dente, appuntò l’episodio nel suo diario al giorno 19 aprile 1832: [«L’elefephant de Stupinis, apres avoir fait son possible pendant plusiers jours pour faire entendre a son guardien de lui tirer une dent qui le faisait souffrir, est parvenu a se la casser. C’est un un beau morceau d’ivoire que l’on m’a apporter.»] 6
Ammaestrato a ballare per il pubblico del serraglio reale, Fritz è trasformato in spettacolo per il divertimento della corte fino a quando, alla morte del suo guardiano, probabilmente immalinconito, l’elefante comincia a rifiutarsi di uscire dal suo ricovero e di esibirsi.
L’EPILOGO
Il racconto dell’elefante Fritz ha un triste epilogo. Il pachiderma infatti uccide il custode Carena un giorno in cui questi lo forza a uscire dal suo ricovero e, in seguito, è soppresso.
Le spoglie del pachiderma sono poi naturalizzate e destinate, per volere del sovrano, al Regio Museo di Scienze Naturali. Ill 15
Ill.15 Lorenzo Delleani, Museo Zoologico, 1871, olio su tela, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino
La conquista dell’esotico Fritz è così completata: non più in grado di rappresentare un Oriente a servizio dello sfarzo della corte sabauda, l’elefante è prontamente trasformato in cimelio da museo, un souvenir ma anche un monito . Così, da meraviglia della collezione di animali esotici del serraglio del Re, mostrato periodicamente alla folla come una star, Fritz, finisce naturalizzato, ed esposto permanentemente al pubblico nel Museo di Scienze Zoologiche.
Non più godibile come oggetto da cabinet des curieux della collezione del re, l’elefante museificato, diventa leggibile come reperto scientifico, trasformato in un esemplare a supporto della pedagogia e dell’evoluzionismo che governa il moderno museo di storia di scienze naturali.Ill 16
Ill.16 L’elefante Fritz, Museo Regionale di Scienze Naturali, Torino,anni Novanta
Solo la superficie argentea del dagherrotipo di Fritz Ill 17 ci restituisce lo stupore del «qui e ora» e fa accadere ancora una volta, sotto i nostri occhi come per magia, tutto «cio-che-è-stato» l’elefante indiano di Stupinigi.
Ill.17 Anonimo [Faustino Curlo] L’elefante di Torino che poi morì pazzo, dagherrotipo, 1850, Archivio Storico della Città di Torino
1. Miraglia, Marina, Culture fotografiche e società a Torino 1839-1911, Torino, Allemandi, 1990, p. 325
2. Maschietti, Gabriele, Muti, Marina, Passarin d’Entreves, Pietro, Serragli e menagerie in Piemonte nell’Ottocento sotto la Real Casa Savoia, Torino, Allemandi, 1988, p. 57
3. Maschietti, Muti, Passarin d’Entreves, ibid.p. 65
4. Ibid
5. Roddi, Casimiro, Des Animaux de la menagerie Royale de Stupinis, Turin, L’imprimerie royale, 1833, p. 45.
6. Salata, Francesco, Carlo Alberto inedito, il diario autografo del Re. Lettere intime e altri scritti inediti, Milano, Mondadori, 1931, p.296.
La città delle immagini
L’elefante indiano Fritz
Pionieristico progetto di archiviazione “dinamica “e animata, La Città delle immagini mi è stato commissionato dall‘Archivio Storico della Città di Torino nel 2005 (completato nel 2012) da me curato con l’apporto del Professor Pierangelo Cavanna, con l’intento di far conoscere, valorizzare e promuovere il vasto e ricco patrimonio fotografico custodito a Torino.
Diviso in due grandi sezioni , le raccolte fotografiche dell‘ASCTo e i fondi fotografici istituzionali dell’ area metropolitana torinese, contiene oltre che dettagliate descrizioni dei fondi, immagini esemplificative e bibliografie.
Pionieristico progetto di archiviazione “dinamica “e animata, La Città delle immagini mi è stato commissionato dall‘Archivio Storico della Città di Torino nel 2005 (completato nel 2012) da me curato con l’apporto del Professor Pierangelo Cavanna, con l’intento di far conoscere, valorizzare e promuovere il vasto e ricco patrimonio fotografico custodito a Torino.
Diviso in due grandi sezioni , le raccolte fotografiche dell‘ASCTo e i fondi fotografici istituzionali dell’ area metropolitana torinese, contiene oltre che dettagliate descrizioni dei fondi, immagini esemplificative e bibliografie.
Cliccando sulla prima sezione dedicata alle raccolte fotografiche dell’ASCTo si possono consultare i vari fondi e leggerne una breve descrizione storica.
La sezione letture critiche include a schede critiche che commentano immagini tra le più rappresentative dell’Archivio: L’elefante Fritz per i fondi ottocenteschi e la raccolta de “La Gazzetta del Popolo” (1890) 1981) per quelli novecenteschi, ciascuna completa di approfondimenti e bibliografia.
L’altra sezione presenta i fondi fotografici di musei, Sovrintendenze, Accademia di Belle Arti e archivi storici pubblici e privati torinesi e ne ricapitolano, brevemente la storia accompagnata da un’immagine guida; Grandi Mostre ricostruisce la cronaca delle più significative esposizioni internazionali ospitate nei maggiori musei d’arte della città dagli anni Cinquanta ai primi anni Novanta. Un glossario dei termini tecnici e una bibliografia generale completano lo schema di questa presentazione della vasta consistenza delle raccolte fotografiche torinesi.
Sebbene datato e mai pubblicato La città delle immagini rimane uno schema pilota per far conoscere, valorizzare e promuovere le ricche risorse fotografiche del nostro paese e rappresenta oggi un documento storico d’importanza fondante che ha ispirato la ricerca sul censimento della fotografia nazionale avviata negli scorsi anni.